L’accordo tra genitori non coniugati sulla contribuzione alle necessità della prole non sottoposto ad omologazione: validità e limiti.
L’accordo tra genitori non coniugati e non conviventi, teso a regolamentare il mantenimento del figlio, non necessita di omologazione o controllo giudiziale preventivo ed è da considerarsi pienamente lecito nella materia e valido, in quanto espressione dell’autonomia negoziale, purché rispondente alle effettive esigenze della prole.
L’Ordinanza n. 663/2022 della Corte di Cassazione offre un interessante spunto di riflessione in merito alla possibilità, per i genitori non coniugati ed in caso di cessazione del rapporto di convivenza di fatto, di regolamentare le modalità di mantenimento dei figli tramite accordi familiari che non siano sottoposti ad omologazione o a controllo giudiziale preventivo.
Nel caso da cui origina l’ordinanza di cui sopra i genitori, non coniugati e non conviventi, avevano appunto stipulato un accordo con il quale il padre aveva trasferito al figlio la proprietà di un immobile, a fronte dell’esonero dello stesso genitore dagli obblighi di contribuzione al suo mantenimento (con la sola eccezione delle spese scolastiche e di quelle connesse all’acquisto dell’abbigliamento).
Successivamente la madre conveniva il padre in giudizio al fine di veder riconosciuto un assegno di mantenimento mensile per il figlio nato dalla coppia. Il Tribunale, nonostante ritenesse riconosciuto il mancato mutamento delle condizioni economiche delle parti in data successiva alla stipula dell’accordo, valido ed eseguito, rigettava la domanda della madre.
In accoglimento del reclamo da quest’ultima proposto, la Corte d’Appello, vista l’inadeguatezza del trasferimento immobiliare effettuato dal padre, solo potenzialmente produttivo di reddito, a soddisfare le effettive esigenze del figlio, stabiliva a carico del padre il versamento di un assegno mensile di € 250,00 e considerava l’accordo stipulato come inefficace, perché trascendente gli interessi disponibili delle parti e privo di un controllo giudiziario ritenuto, appunto, necessario.
La Corte di Cassazione, chiamata a valutare la validità di un accordo del tipo sopra indicato, nel rigettare il ricorso presentato dal padre, ha tuttavia corretto la motivazione del provvedimento del Giudice dell’Appello, in relazione a quanto statuito circa l’inefficacia dell’accordo per mancanza di controllo giudiziario.
L’intervento chiarificatore della Suprema Corte ha preso le mosse dall’analisi dell’art. 337 ter, IV, c.c., spiegando che detta norma, in caso di crisi del rapporto tra i genitori, (coniugati e non), affida innanzitutto all’autonomia negoziale ed agli accordi dei genitori la determinazione della misura del contributo al mantenimento dei figli. Solo in caso di disaccordo tale determinazione è rimessa al giudice, sulla base di parametri improntati alla salvaguardia del precipuo interesse dei figli.
Alla luce di ciò, l’accordo stipulato alla fine della convivenza con cui si disciplini la modalità di contribuzione dei genitori alle necessità della prole, “è riconosciuto valido come espressione dell’autonomia privata e pienamente lecito nella materia, non essendovi necessità di un’omologazione o controllo giudiziale preventivo; tuttavia, avendo tale accordo ad oggetto l’adempimento di un obbligo ex lege, l’autonomia contrattuale delle parti assolve allo scopo solo di regolare le concrete modalità di adempimento di una prestazione comunque dovuta ed incontra un limite, sotto il profilo della perdurante e definitiva vincolatività fra le parti del negozio concluso, nell’effettiva corrispondenza delle pattuizioni in esso all’interesse morale e materiale della prole”.
In definitiva, dunque, secondo la Suprema Corte l’accordo stipulato tra genitori non coniugati e non conviventi teso a regolamentare la contribuzione dei genitori ai bisogni dei figli è valido e lecito, senza necessità di controllo giudiziale preventivo o omologazione, purché rispondente ai bisogni dei figli. Ciò, chiarisce la Corte, non preclude tuttavia al Giudice, in caso di conflitto sottoposto al vaglio giudiziale, di integrare o modificare il contenuto dell’accordo negoziale stipulato dai genitori, qualora ritenuto non rispondente all’interesse morale e materiale della prole. Nel fare ciò il Giudice non incontra il limite processuale del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, né quello del principio dell’autonomia negoziale dei genitori, di fatto subordinati alla salvaguardia dell’interesse morale e materiale dei figli, a presidio del quale il Giudice adotta i provvedimenti ritenuti opportuni.
In conclusione, l’autonomia negoziale dei genitori, che si espleti in una regolamentazione della contribuzione ai bisogni del figlio non sottoposta a controllo giudiziale preventivo o ad omologazione, incontra il limite dell’interesse morale e materiale della prole. Ogni pattuizione tra i genitori dovrà dunque essere il frutto di un delicato contemperamento tra il predetto primario interesse e le specificità del caso concreto, avuto riguardo ai parametri forniti dal legislatore all’art. 337 ter, IV, c.c. (ed alla relativa interpretazione giurisprudenziale).
Avv. Carolina Nieri