Limiti normativi e giurisprudenziali al divieto statutario di circolazione delle partecipazioni societarie delle S.r.l. e facoltà di recesso libero

Come ben noto, l’art. 2469 c.c. sancisce la regola generale secondo cui le partecipazioni sociali sono liberamente trasferibile sia per atto tra vivi che per successione a causa di morte, salvo contraria disposizione dell’atto costitutivo.

La norma prosegue al comma successivo disponendo che al socio e/o agli eredi del socio defunto spetti il diritto di recesso in qualsiasi momento come previsto dall’art. 2473 c.c. e l’atto costitutivo preveda l’intrasferibilità delle partecipazioni ovvero nel caso in cui l’atto costitutivo subordini il trasferimento delle partecipazioni al gradimento di organi sociali, di soci o di terzi, senza prevederne condizioni e limiti che, nel caso concreto, impediscano la circolazione della partecipazione.

Il richiamato art. 2473 c.c., al secondo comma stabilisce come requisito per l’esercizio del recesso ad nutum che la società sia contratta a tempo indeterminato.
Invero, la dottrina e la giurisprudenza convengono che tale diritto spetti in qualsiasi momento anche laddove la società sia contratta a tempo determinato, con la precisazione che, ai fini della legittimità dell’esercizio del diritto di recesso ad nutum, in società contratte a tempo determinato, occorre aver riguardo alla ragionevolezza del termine necessario al compimento del progetto imprenditoriale e non all’aspettativa media di vita del socio (Cfr. Corte d’Appello Milano, Sez. spec. in materia di imprese, 27/03/2021, n. 1323).

Con riferimento alle vicende inter vivos preme chiarire che la mera previsione statutaria di intrasferibilità della partecipazione non legittima, da sola, il socio ad esercitare il recesso.

Infatti, ai fini dell’esercizio di un legittimo recesso si rende necessario che al socio uscente sia in concreto impedita la trasferibilità della propria partecipazione sociale ovvero sia effettivamente impedito agli eredi l’esercizio del diritto al rimborso della partecipazione del socio defunto.

Quanto alle vicende mortis causa, occorre chiarire come il Legislatore della Riforma ex D. Lgs. n. 6/2003 abbia impropriamente adoperato il termine recesso con riferimento agli eredi del socio defunto, non potendosi ipotizzare il recesso da parte di un soggetto terzo rispetto alla compagine sociale.

In tali ipotesi, infatti, solo alla morte del socio potrà riconoscersi agli eredi e/o legatari del socio defunto il “diritto di recesso” da intendersi quale diritto di ottenere la liquidazione della di lui partecipazione.

In conclusione, il dettato normativo di cui all’art. 2469, comma 2, c.c. deve interpretarsi quale espressione della volontà del Legislatore di consentire al socio di uscire dalla compagine sociale ogni volta che l’atto costitutivo o lo statuto prevedano clausole che valgano ad escludere nel caso concreto la circolazione della partecipazione sociale.

Avv. Salima Es Sebar